Nella pratica del buddhismo mahayana è tradizione iniziare prendendo rifugio e poi sviluppare il bodhicitta. E’ un modo per riorientare noi stessi al fine di trascendere i limiti imposti dalle nostre esperienze karmiche.
Benchè tutti possediamo una natura di buddha che mai potrà esserci tolta, essa non ci è più familiare, e la meditazione può quindi sembrarci un grande oceano nel quale rischiamo di perderci e annegare. Abbiamo perciò bisogno di qualcosa che ci aiuti in questo processo di transizione.
– Lo stato naturale dell’essere di James Low –
“Un grande sostegno è dato dalla pratica del rifugio: nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha.
Prendere rifugio significa anche riportare al cuore i quattro pensieri incommensurabili o fondamenti ed è questa una delle forme possibili per connettersi al Sé superiore.
Porto al cuore i quattro pensieri incommensurabili cosìcché do una chiara direzione nitida di dove voglio andare e di cosa intendo realizzare e da cosa mi lascio ispirare.
Per cui a fondamento della nostra motivazione e alla base della nostra azione abbiamo questi quattro pensieri nobili e concreti: amorevole gentilezza, grande empatia, gioia compartecipe ed equanimità.
AMOREVOLE GENTILEZZA (Maitri o Metta in pali che è la lingua del Buddha) verso se stessi e verso gli altri.
Molto spesso per educazione siamo addestrati ad avere un certo livello di cortesia che è però una maschera, un programma di azione superficiale. L’amorevole gentilezza è qualcosa di molto più profondo. Ama il prossimo tuo come te stesso dice il Cristo. È un equilibrio tra l’ascolto delle tue esigenze e l’ascolto delle esigenze dell’altro, occupando il proprio spazio vitale.
Ecco perché diciamo che possano tutti avere la serenità, intendendo una serenità stabile e duratura nel quotidiano.
Molte volte siamo attaccati al nostro stato d’animo infelice, di disagio e per paura del cambiamento non ne vogliamo venire fuori, ma questo cambiamento è sempre una questione di scelta.
Una delle radici del cambiamento passa attraverso questi quattro pensieri e dal farli divenire realtà vissuta nel nostro quotidiano.
Chiedersi allora quanta amorevole gentilezza c’è nelle proprie azioni verso se stessi e di riflesso verso gli altri? dove ci si trascura? Sono domande da porsi spesso. Noi esseri umani abbiamo un cono d’ombra che non ci permette di vederci nella nostra totalità ma ci vediamo solo in parte.
Col desiderare “che tutti possano avere la felicità e le sue cause” affermiamo che la felicità è frutto di cause poste da me, è quindi il risultato di cause virtuose poste da me stesso in passato (o da chi “gestiva il mio continuum mentale” in passato) per fare oggi esperienza di serenità continuata. Un’etica cristallina è, ad esempio, una buona base per la serenità.
GRANDE COMPASSIONE (Karuna) è una qualità dell’essere e questo significa sviluppare quasi un’urgenza nel prendersi cura della sofferenza degli altri e poter liberare gli altri e te stesso dalla sofferenza e dalle sue cause. Anche la sofferenza è il risultato di azioni passate di corpo, parola e mente. Qui si esprime la forma di amore più sublime, l’amore incondizionato, l’amore illimitato che è la via d’uscita dal labirinto del ciclo di rinascite.
Queste vie graduali preparano il corpo-mente a sostenere l’incontro con la mente illuminata, e ad ospitare l’amore illimitato, che è già presente in noi e fa fatica a manifestarsi per via del condizionamento.
Un segno della mente-cuore realizzato è proprio l’amore illimitato che sgorga e zampilla senza aspettarsi nulla in cambio.
Puoi credere di non avere questa caratura di amore ma si procede sia per passi graduali che per salti quantici e cioè balzi energetici di prese di coscienza vere e proprie fino all’ultimo respiro. E allora si continua incessantemente a coltivare l’amore illimitato come un eco che riporta alla domanda di “quale esperienza tridimensionale farei se io fossi intriso di amore illimitato?”
GIOIA COMPARTECIPE (Mudita) una caratura di gioia che è priva di sofferenza. È uno stato di gioia partecipata e condivisa con gli altri che rimane stabile nel tempo. Una gioia che sa effettivamente gioire dei buoni accadimenti altrui.
Una delle qualità dei meditanti è un certo livello di stabilità mentale nel quotidiano, uscendo dagli alti e bassi della vita si resta nella serenità e nella gioia duratura nel tempo. Se mi sto identificando con la narrazione dell’io sofferente e lamentoso la gioia va e viene e la sto delegando a terzi, e cioè all’attaccamento e all’avversione dell’io. Se aderisco invece alla narrazione del cuore, e quindi anahata si sta attivando e si stanno sciogliendo i tre nodi al plesso del cuore, se non sono più nel racconto della scarsità e aderisco all’essere nella pienezza ecco che la gioia diviene spontanea, compartecipe e condivisa.
Osserviamo allora quanta serenità e quanta gioia ci sono nel nostro quotidiano? sono loro mie ancelle e respiro insieme ad esse o il canto della scarsità è ancora dominante nella mia esperienza? Poiché terminata l’illusione della scarsità siamo nell’abbondanza, e come di fatto, siamo in uno stato di costante abbondanza.
EQUANIMITA’ (Upeksha) La/il praticante si impegna a stare in una posizione equa, equamente distante da attaccamento e da avversione. Equanimità vuol dire non incappare più nel racconto dell’io/mio che funziona e profila se stesso proprio su attaccamento e avversione. Non seguo più la mente reattiva che si modella su queste due afflizioni mentali e sulla loro radice, l’ignorare il modo reale di esistere dei fenomeni e della persona, bensì coltivo una mente equanime e colgo lucidamente vantaggi e svantaggi di ciò che mi si para di fronte. Significa che ho uno stabile ed acuto discernimento nel tempo ma non aderisco più al racconto della mente urlatrice dell’io/mio, non la seguo più, per sintonizzarmi sul canto della pienezza e dell’abbondanza che è il canto del plesso del cuore che si sta gradualmente oppure improvvisamente aprendo.
Queste quattro virtù mi portano ad un altro modo di leggere, affrontare e fare esperienza della realtà.
Ecco perché ogni volta che iniziamo una sessione meditativa le elenchiamo perché stabiliamo la motivazione. Qual è la mia motivazione di oggi? E alla base mettiamo sempre questi quattro pensieri sapendo che questi sono i quattro rami dell’amore illimitato che è il tronco dell’albero su cui si innestano.
Nella meditazione come nella vita, è importante che la motivazione parta dal Cuore e sia la più altruistica possibile, ovvero, la più disinteressata. Quando la mia intenzione e motivazione sono sostenute da questi quattro pensieri, che con la meditazione, e dunque l’introspezione, diventano vita vissuta ed esperienza, la vita cambia.
A livello analitico questi pensieri così semplici sono sicuramente capiti e compresi ma ciò che è banale da comprendere non lo è altrettanto da praticare, soprattutto in continuità e costanza, dunque presenza.
Di meditazione si può, tutto sommato, parlare poco: tutta la parte teorica può solo ispirare poiché tutto il percorso meditativo si fonda squisitamente ed esclusivamente sulla nostra pratica quotidiana in prima persona”.
Davide Cova
trascrizione di una breve presentazione orale.
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